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SANDRO LOMBARDI
pubblicazioni
Il Carrozzone
La donna stanca incontra il sole
a cura di Giuseppe Bartolucci
Macerata/New York, La Nuova Foglio Editrice, 1974
Azzarderei l’ipotesi di un misticismo dedicato al tempo: una tensione che comporta un ripiegarsi scrupoloso e umile su di esso, con nessuno scopo pratico ma con la rivalsa contro un atteggiamento verso la storia che ha smarrito la nozione del tempo e la consuma senza troppo badare, con un atto di presuntuosa superficialità.
È tanto violenta la contrapposizione che anche lo spettacolo del “Carrozzone” sembra affondare le dita aperte nella presunzione di salvare sia alcuni elementi di rappresentazione, sia una specie di indiretta polemica e chissà fin dove consapevole. La determinazione fredda e costante sta nelle elaborazioni dell’itinerario che segue la traccia di un misticismo sobrio ma imbarazzato perché premuroso nelle citazioni e nei richiami (teatro giapponese in testa); sta nella candida capacità di misurare materiali adoperati, suggerendo e soprattutto contando sull’intuizione; sta nella bizzarra abilità di trasformare un mondo, in bilico tra il ricordo di un No giapponese e il ritratto di una soffitta ove si animano le composte emozioni di personaggi primo Novecento (si pensi ai pochi costumi), in un incubo da osservare con serena tranquillità. È scomparso ogni terrore perché il terrore non smuove, conferma e crea impotenza. Che significano, allora, i due pezzi del “Carrozzone”?
dall’introduzione di ITALO MOSCATI

Sandro Lombardi, Marion D’Amburgo, Federico Tiezzi
Sulla strada dei Magazzini Criminali
a cura di Franco Quadri
Milano, Ubulibri, 1983
Parole, frasi, citazioni che abbiamo imparato a amare, credendole ormai nostre, ci si rinfrangono dentro sull’onda di un’illusione che mai avevamo lasciato sfuggire lungo i sentieri dell’utopia. Lontane dal contesto americano che ne costituiva la prima ragione, eccole divenute coordinate di uno spazio interiore: quello di cui Sulla strada misura la consapevolezza planetaria, prima che lo stesso terreno desertico venga sezionato per strati e analizzato in termini di velocità dalla speculazione di Deleuze e Guattari; campo ritrovato dell’avventura dopo l’esperienza narrativa di Conrad, e dello stesso Jack London. Per i Magazzini Criminali, nuovi zingari del teatro succeduti all’epopea non violenta e girovaga del Living Theatre, la rilettura del romanzo detta anche la giustificazione di un’idealità di banda già di fatto sgorgata dalla loro peregrinazioni per l’Europa, nella ragnatela geografica tra le megalopoli e la provincia profonda: un’idealità rimasta intatta e rivissuta nel chiuso di una scena, all’ombra di palmizi o al riparo di veneziane metalliche, campo urbano, simulato dentro la sala teatrale, e nel contempo riproduzione di quell’altro spazio mentale. Ora la giungla tropicale o metropolitana lascia trasparire bagliori dell’alba o dei tramonti che annienteranno ogni difesa razionale. Guardandosi indietro, è arrivato il tempo del cambiamento, riconquistando quasi inconsapevolmente i movimenti introspettivi e iniziatici degli anni del Carrozzone, i Magazzini Criminali si predispongono così al tuffo di un teatro che non ha più bisogno di etichette protettive, invadono con Sulla strada il linguaggio dell’opera, marchiano col tormento accelerato della loro instabilità una coreografia che si espande a circolo, parallelamente al roteare delle braccia tese verso l’alto, per ricongiungersi al termine dell’aspirale all’immobilità del punto di partenza. È il momento di transizione al grande spettacolo da attraversare sul palcoscenico come Dean Moriarty e Sal Paradiso solcano l’America, su uno sfondo si luci accese e cangianti, con gusto selvaggio, di chi assapora il completo abbandono.
dall’introduzione di FRANCO QUADRI

Sandro Lombardi
Jean Fouquet
Firenze, Libreria Editrice Salimbeni, 1983
Sono lieto di presentare al pubblico degli studiosi e a quello più largo degli amatori il lavoro di ampio e profondo impegno di un mio discepolo sul più grande pittore del Quattrocento di Francia.
La vasta letteratura su Jean Fouquet lasciava infatti ancora aperti molti problemi di indole più strettamente filologica come di ambito più largamente critico relativi all’opera e alla personalità dell’artista. V’era da precisare ulteriormente il catalogo dell’opera del maestro, distinguendo nelle sue vaste imprese di pittura libraria le parti autografe dagli interventi della bottega, da rivedere la successione cronologica delle opere, da precisare la formazione del pittore specialmente nei suoi molteplici contatti con l’arte italiana. V’era inoltre, last not least, da definire in modo più organico e più convincente il mondo poetico dell’artista.
Il giovane studioso ha affrontato con pazienza e con acutezza tutti questi problemi, ha fatto il punto sui risultati già raggiunti dalla critica, ha proposto soluzioni nuove ad antichi problemi. Ha sopratutto posto su nuove basi, dimostrando che il ritratto di Carlo VII fu eseguito in morte del monarca, la cronologia delle opere, ed è pervenuto, svolgendo le felici intuizioni del Focillon e specialmente del Paecht, a una rinnovata visione dell’arte del grande maestro, alla cui base sta la concezione del mondo come finzione e teatro. E a questi, e ad altri, risultati è pervenuto attraverso impegnatissime analisi della forma, intesa sempre come linguaggio espressivo, che ogni premessa ideologica e culturale assorbe e traduce in poesia.
Ricerca e pubblicazione sono state in parte finanziate dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, che qui sentitamente si ringrazia.
ROBERTO SALVINI

Sandro Lombardi (a cura di)
Alighiero e Boetti. Dall’oggi al domani
Brescia, Edizioni L’Obliquo, 1988
C’è una poesia di Sandro Penna che, nella semplicità che è il dono accordato a chi sa vedere con sguardo ampio anche le cose più complesse, e le più profonde, e le più nascoste, formula un’idea che esprime bene il senso del lavoro di Boetti:
Il mondo che vi pare di catene
tutto è tessuto d’armonie profonde.
L’arte di Boetti è tutta una ricerca di libertà: a nient’altro che ad essa tendono quel suo desiderio di un’ampia comprensione delle cose; quel bisogno di superare le separazioni e le categorie imposte quali catene alle armonie del mondo.

Sandro Lombardi
Quattro lettere sul teatro e sull’arte
in
Artista. Critica dell’arte in Toscana, n. 2
Firenze, Le Lettere, luglio 1990
Caro Sandro,
questa città è spaventosa: la guardo dalla mia finestrella da uno dei torrioni della Columbia University e la vedo disfarsi in una nebbiolina già autunnale. Perduta e infernale come la città di Dite. E mi somiglia, New York, con i suoi grattaceli e le sfilate di case a far muro dalla strade, a San Gemignano: o a una Monteriggioni mostruosa.
Ho appena assistito alla prova generale del mio Ritratto dell’attore da giovane nella messinscena dei “giovani attori” della Columbia. La regia ha trattato il testo psicologicamente, cercando una verità naturalistica che i miei personaggi non hanno: infatti li ritengo piuttosto le figure di un quadro.

Sandro Lombardi
Compagni di strada
in
Fulvio Panzeri (a cura di), Panta n° 9: Pier Vittorio Tondelli
Milano, Bompiani, 1992
Bologna. Arrivato questa mattina in aereo da Cagliari. Raffreddato, per tutti questi sbalzi di temperatura. Preoccupazione per la voce: lo spettacolo debutta domani, poi vado a Napoli, poi è Natale. Bologna tutta gelo e neve, ma con un cielo così bello questa mattina all’arrivo, che l’umore, teri decisamente terra, è un po’ migliorato. Uscito dal teatro, ieri sera, ho vacillato un momento sotto un’improvvisa ondata di nausea. Ho alzato gli occhi al cielo e ho sentito, di nuovo, lo strano miscuglio di ebbrezza e miseria dell’essere attore.
Mi ero appena sistemato in albergo quando mi hanno chiamato al telefono: “È morto Tondelli”.

Sandro Lombardi
Per Carmelo Bene
in
Goffredo Fofi e Piergiorgio Giacché (a cura di), Per Carmelo Bene
Roma, Linea d’ombra Edizioni, 1995
“Noi non scegliamo mai i nostri padri
e raramente i maestri. Dove il destino
ci ha deposto, nello spazio e nel tempo e
nel costume ivi cominciammo a vagire…”
Carlo Emilio Gadda ( in Alberto Arbasino, Certi romanzi)
“…cosa significa avere vent’anni
se non amare pochi maestri e odiarne molti…”
Pier Paolo Pasolini, Bestia da stile
Sandro Lombardi
Un Cristo rosa novello
in
Federico de Melis (a cura di), La scoperta del museo. Ventisei guide sulla via dell’arte
Roma, Manifestolibri, 1995
Associo indissolubilmente l’idea del museo a quella del viaggio. Al tempo della mia giovinezza universitaria, progettare un viaggio — o anche solo sognarlo — significava misurare la portata dell’ interesse per paesi e città, sulla base dei loro musei. Sfogliavo guide e cataloghi e mi incantavo all’idea di poter finalmente incontrare, in qualche sala luminosa e silente, questa o quell’opera, conosciuta e già amata sui libri. Furono gli anni delle grandi capitali europee: Parigi, Vienna, Berlino, Amsterdam, Madrid… Scoprivo musei meravigliosi che mi entusiasmavano per la loro modernità ed efficienza, anche se non sempre vi ritrovavo quella dimensione a cui mi avevano abituato, in Toscana, Firenze e Siena, Pisa e Volterra, Pienza e Montepulciano (ma anche Roma, Venezia, Ravenna…): quella continuità tra paesaggio, tessuto urbano, dimensione antropologica e composizione umana che si rispecchia, raccolta in sintesi mirabile, in opere che sono altresì strumenti di interpretazione di quella stessa realtà…
Sandro Lombardi
Scarrozzanti e donne di dolori: da Edipus ad Ambleto
in
Artista. Critica delle arti in Toscana
Firenze, Le Lettere, 2001
Gli Scarrozzanti sono, nell’immaginazione di Giovanni Testori, un pugno d’attori: strampalati comici che battono poveri teatri di periferia, oppure si esibiscono all’aperto, sotto le stelle, nelle aie della bassa padana, tra gli afrori delle stalle e il fruscìo sommesso dell’Adda o del Lambro. In mezzo a difficoltà d’ogni tipo, portano in giro squinternate e bislacche messinscene di grandi classici (Shakespeare, Sofocle), ai cui intrecci confondono le vicende delle loro disastrate storie personali. A questa compagnia fantastica, Testori dedicò, negli anni Settanta, tre testi, scritti in una lingua che già dai titoli dichiara la sua forza di deformazione espressionistica.
Sandro Lombardi
Volgar’eloquio e teatro di poesia
in
Gianni Manzella (a cura di), Art’O. Cultura e politica delle arti sceniche n. 10
Bologna, gennaio 2002
Nel maggio del 1965, la rivista “Sipario” pubblicò i risultati di un’inchiesta tra gli scrittori italiani (Moravia, Sciascia, Pasolini, Testori e altri). Le dichiarazioni rivelavano insoddisfazione e addirittura fastidio nei confronti del teatro, e un’attenzione prevalente sul problema della lingua. C’era anche, dispiace dirlo, una forma di chiusura nei confronti del teatro come linguaggio, come se la preoccupazione per l’aspetto letterario mettesse in ombra la natura di una forma d’espressione che non è costituita solamente dal testo.
Sandro Lombardi
Gli anni felici.
Realtà e memoria nel lavoro dell’attore
Milano, Garzanti, 2004
Che cos’è questo libro, Gli anni felici, scritto da un grande attore di teatro nel vivo di una fortunata esperienza ancora in pieno svolgimento? Sbaglierebbe chi si attendesse una raccolta di memorie, un’autobiografia tessuta di ricordi e colorita di aneddoti. Il critico teatrale o lo storico del teatro non mancherà certo di trovarvi un prezioso contributo alla ricostruzione delle vicende sceniche del secondo Novecento, rivissute da un loro protagonista, caro al miglior pubblico. Ma anch’essi saranno sorpresi, e con loro il lettore non professionale, da tutto ciò che di più, e di tutt’altro, gli offrono queste bellissime pagine.In un’epoca come la nostra in cui la regia ha acquistato l’importanza che sappiamo, l’attore è spesso considerato, diminutivamente, uno strumento dell’orchestra, esaltato nelle sue virtù naturali da chi sa servirsene ai propri fini. Tutt’altra l’immagine che se ne aveva in un passato remoto, quando il suo trasformismo era ammirato e temuto come qualcosa di stregonesco. E come non pensarlo di fronte alla magica capacità di assumere di volta in volta una personalità diversa, di appropriarsene i caratteri e i modi, come se solo a qualcuno, diversamente dai comuni mortali, la sorte avesse concesso di vivere non una ma più vite?
Qualcosa di simile, ma su tutt’altro piano, ci avviene di ammirare leggendo questo libro: che è la carta d’identità di un intellettuale, di apertura europea, capace delle esperienze più disparate, l’una legata all’altra in una coerente unità culturale. Dove la passione dominante per il teatro fa tutt’uno con la raffinata competenza nel campo della musica e soprattutto con gli studi d’arte, approfonditi fino a produrre una pregevole monografia su un raro pittore del Quattrocento francese come Jean Fouquet. Itinerari niente affatto ordinari si dovrà ammettere, non si dice per un teatrante ma per chiunque; a cui sarà da aggiungere, non ultima (anzi qualità riassuntiva di tutte le altre), la rara virtù di chi si dà qui a conoscere, con felice sorpresa, per un sicuro scrittore in proprio. Si tenga pure in conto l’origine toscana di Lombardi; ma non può sfuggire che i nomi che tornano più frequenti sotto la sua penna sono quelli, amati, di un Longhi, di un Pasolini, di un Testori, maestri di generazioni diverse egualmente applicati all’esercizio sapiente della scrittura. Si vedano per un esempio le squisite ecfrasi di opere d’arte, si tratti della Resurrezione di Piero della Francesca a Borgo San Sepolcro o delle rappresentazioni scultoree dei Mesi nelle cattedrali romaniche. E che dire, natura e cultura cooperando tra loro, dei “ritratti” di amici distribuiti lungo l’intiero percorso? Da quello ambientato di Luigi Baldacci allo schizzo di Pasolini apparso, come una visione, sulla piazza del duomo di Arezzo; dal ricordo del giovanissimo storico d’arte Giovanni Agosti, nella sua casa-museo di Milano, al duetto dei due antiquari fiorentini che si propongono come i “buffi” di uno spassoso raccontino alla Palazzeschi. Ma al lettore vorremmo suggerire, per introdurlo al piacere della prosa, proprio i due splendidi capitoli di apertura, Silenzio e Memoria. Qui lo scrittore non è da meno dell’attore applaudito sulla scena.
DANTE ISELLA
Sandro Lombardi
Luce di pietra nera
L’attore guarda il maestro che lo guarda
in
Antonio Attisani e Mario Biagini (a cura di), Testimonianze e riflessioni sull’arte come veicolo
Roma, Bulzoni, 2008
…Poche cose hanno lasciato nella mia memoria un segno così indelebile come la celeberrima sequenza di fotografie del Principe costante. Pochi spettacoli visti hanno sedimentato nella mia memoria un’impressione così forte come le lunghe ore passate a contemplare quelle immagini, quelle pareti di legno a cui ci si doveva affacciare per assistere all’evento, giù, sotto, come in una fossa di leoni; a cercar di immaginare la musica che quegli attori avrebbero prodotto con le loro voci e con i loro corpi. E come dimenticare la suggestione del corpo bianchissimo di Ryszard Cieslack, baciato dalla luce in quella sua innocente nudità, che in ogni gesto, in ogni postura, in ogni minimo atteggiamento, sembrava rivelare abilità infinite e potenza d’attore suprema e capacità di coinvolgimento emotivo massima. Sprigionavano, quelle fotografie, anche una tensione erotica non indifferente, ma allora sembrava sconveniente anche solo accennarvi. Ora che gli anni sono passati, ora che Cieslack e Grotowski non sono più tra noi, non vedo perché non si possa rilevare anche la presenza di questo elemento – appunto il filo di tensione erotica che spesso lega un regista e un attore – e che, a volte, determina risultati altrimenti irraggiungibili: senza lo sguardo innamorato di von Sternberg, avremmo avuto lo Marlene Dietrich che abbiamo avuto?, o l’Alain Delon di Rocco e i suoi fratelli senza l’occhio di Luchino Visconti? È chiaro che non si vuole insinuare qui alcunché: la tensione erotica non ha niente a che fare con la sessualità (su nessun volto maschile Pasolini ha riversato tanta attrazione come su quello di Silvana Mangano), ma negare la fisicità a tutto campo di quel corpo sarebbe un’ipocrisia che Grotowski non avrebbe amato…
Sandro Lombardi
Le mani sull’amore
Milano, Feltrinelli, 2009
Reparto psichiatrico di un ospedale sul Tevere. Una lettera per temperare il dolore e la profonda depressione che hanno fatto seguito alla fine di una burrascosa relazione. Carlo è un artista di fama internazionale, Lucio gli si è messo a fianco prima come discepolo, poi come amante. E Carlo torna, con soprassalti di tenerezza, a rivisitare i momenti cruciali del progressivo abbandono all’amore, alla gelosia, alla dipendenza: il primo incontro, i viaggi tra Firenze e Roma, la scoperta dei luoghi dell’arte e i lunghi colloqui al tramonto. Tra presagi e inquietudini, la relazione ha messo a fuoco da subito il rovello della differenza di età, l’incombere della paura e della gelosia, l’ambiguità del discepolo che pensa alla carriera da artista ancora da formare. Nella sua stanza d’ospedale, accerchiato da una variegata umanità di dolenti, di folli, di santi, Carlo continua a scrivere e cerca di comprendere le ragioni della violenza e del distacco che sono succeduti all’amore. Da uno dei nostri più grandi uomini di teatro, una storia d’amore raccontata con straziante trasparenza.
Sandro Lombardi
I teatri segreti di Marcel Proust
in
Quaderni proustiani n. 6
Napoli, dicembre 2012
Lenta e solenne, e nello stesso tempo domestica e intima, la frase d’apertura della Recherche, «Longtemps, je me suis couché de bonne heure» («A lungo, mi sono coricato di buonora»), evoca il fruscio di un sipario che si apre su un mondo sconosciuto, pieno di promesse e sorprese, ma anche brulicante di minacce, inquietudini, paure. Ed evoca le prime note di un preludio d’opera, quasi certamente wagneriana, quando i tendaggi sono ancora chiusi e il lettore-spettatore attende con ansia e una certa trepidazione che si aprano: è il mondo del sonno e della realtà onirica.
Sandro Lombardi
Teorema
in
Giovanni Agosti e Davide Dall’Ombra (a cura di), Pasolini a casa Testori
Milano, Silvana Editoriale, 2012
…Era bello esser giovani in un momento storico in cui sembrava che le varie arti stessero sconfiggendo i recinti dei generi: la pittura sconfinava nel teatro; questo nella danza, nella musica e nel proclama politico; la poesia nel cinema; la danza nel racconto teatrale; l’architettura nella moda… Come se tutto fosse stato preso in un unico, entusiasmante vortice tendente all’utopia. Forse perché eravamo giovani, ci illudevamo che questa evoluzione dei linguaggi espressivi fosse irreversibile; e invece sarebbe poi arrivata, dagli anni Ottanta in poi, la stagione del ritorno all’ordine: dubito che oggi un produttore cinematografico investirebbe in un film come Teorema; e suppongo che un editor cercherebbe di spingere il libro verso una innocua e addomesticata dimensione narrativa. In quel momento, la pur violentemente scandalosa materia di racconto presente nel libro-film passava in second’ordine rispetto all’eccitante sperimentalismo formale.
Sandro Lombardi e Fabrizio Sinisi
Teatro
in
Beatrice Panebianco, Irene Scaravelli, Sandro Lombardi, Fabrizio Sinisi
Testi e immaginazione.
Antologia per le scuole medie superiori, Zanichelli, 2013
Testi e immaginazione avvicina gli studenti alla lettura creando un ponte tra i testi e la realtà che li circonda. La letteratura esce così dalla pagina e diventa uno strumento per guardare il mondo con altri occhi.
Sandro Lombardi
Illusori castelli di sabbia, effimere cattedrali, memorie scritte sull’acqua
in
Renata M. Molinari (a cura di), Panta n° 31: Franco Quadri
Milano, Bompiani, 2014
Doveva essere la primavera del 1971: un argenteo pomeriggio tanti anni fa, a Firenze. E fa uno strano effetto scrivere di Franco. «Quadri», certo, ma io non sono mai riuscito a pensarlo altrimenti che come «Franco», almeno da quando lo conobbi di persona, mi pare tra il 1975 e il 1976. Prima sì, prima c’era stato un «Franco Quadri», o anche un «Quadri». Su questo tornerò più avanti. In ogni caso, come elemento da registrare subito è che per me e per molti attori e registi e scenografi e drammaturghi della mia generazione, Quadri era poco «Quadri» e molto «Franco».
Scrivere di Franco? Ma se per parecchio tempo è stato lui, Franco, appunto, quello che scriveva di me, di noi! Io li leggevo avidamente quei pezzi (‘pezzulli’ li chiamava lui), che mi davano la leggera vertigine di entrare nella storia, dato che – e qui torno al tempo in cui Franco non era ancora «Franco» ma «Franco Quadri», oppure, tout court, «il Quadri» o «il Franco» (alla milanese, con l’articolo) – perché, dicevo, il ductus della sua scrittura – si occupasse dell’ultima, fastosa regia di Ingmar Bergman a Stoccolma o dell’umile esordio di uno sconosciuto gruppo di provincia –evocava sempre il tono di chi fa la storia. Poteva permetterselo, del resto…
Sandro Lombardi
Queste assolate tenebre
Schegge autobiografiche in controcanto con Mario Luzi
Torino, Lindau, 2015
Un grande attore e un grande poeta sono i protagonisti di questo testo. Sandro Lombardi, che qui si racconta, ha conosciuto il successo, ha frequentato molti degli autori e delle opere più importanti della letteratura teatrale e della poesia di ogni tempo, è passato come tanti attraverso le porte strette della sofferenza e della fatica di vivere. Un percorso che si è intrecciato, quasi da sempre, all’opera di un grande poeta italiano, Mario Luzi. Prima si tratta solo del fascino che alcune poesie esercitano su Lombardi adolescente, che finalmente trova una voce viva fra le proposte moralistiche e un po’ pedanti della scuola dell’epoca. Poi nel corso degli anni le rispondenze si approfondiscono, maturano insieme alla storia personale e alle esperienze professionali, trovando finalmente compimento in un’amicizia profonda e nella collaborazione a progetti e spettacoli memorabili. Da fonte d’ispirazione Luzi diventa così interlocutore privilegiato tanto nella pratica della parola poetica quanto in rapporto alle vicende esistenziali, anche le più difficili. Un maestro di vita, oltre che di arte: per ascoltare la realtà, esserne plasmati, arrivando ad amarla e a conoscerla davvero.
Monica D’onofrio conversa con Sandro Lombardi per Radio3 in Poesia
Sandro Lombardi
Tempi supplementari
Ricordo di Luca Ronconi
Milano, Edizioni del Premio Testori, 2015
Oggi è finita l’estate.
Salvati, mia vita, se puoi.
Certe volte si vorrebbe
lasciar correre i pensieri
dalla mente al muto schermo
del computer o dell’I-phone,
quasi già esistesse il mezzo
d’incarnare in parole
il fango, gli smagati spettri
del ribollio di tenebra
che non ha verbo in noi ma solo suoni,
colori, bruto brusio vibrante –
come sabbia di deserto –
o il tonfo sordo di passi
prolungati sulla neve –
o il vento tra i fili del telegrafo
sospesi sui piloni
che sfilano tenui per le oasi celesti
(dove a primavera fioriscono oleandri)
che da Casablanca s’aprono,
in serpeggianti palmizi,
agli orizzonti senza confine
dei nomadi bianchi e azzurri –
in quelle notti ghiacciate
che sanno di speranza e di paura.
Improvvisa mi coglieva la sera,
mentre aspettavo al freddo,
mendicando uno sguardo,
una parola, un gesto
d’amore, una mica di luce…
Caro Maestro, carissimo Luca –
come ti scrivevo a notte
per comunicarti i miei timori,
i dubbi, i pensieri, le idee,
tra i silenzi roventi dell’Umbria
crepata e selvaggia, qualche estate fa…
Sandro Lombardi
¡Puro teatro!
Scritti, lettere e incontri fra scena, letteratura, politica e storia dell’arte (1990-2015)
Cuepress, Imola, 2016
Risale dal fondo dei giorni perduti
un burattino sghembo che mi guata
da occhi ciechi, da orbite vuote
poi si sfa in nulla, mulinella appena
su quel suo asse disassato – e scompare.
Il cielo ed una bianca nuvolaglia
mi opprime mentre la notte sale
e muto gratta in gola un bieco urlo
rossi i papaveri
gialle le spighe
le primule nei fossi
il galoppo stanco
dei treni
i fili della vita
mentre Mina attacca
“Igual que en un escenario,
finges tu dolor barato:
tu drama non es necesario,
ya conozco ese teatro!
Teatro! Lo tuyo es puro teatro…”
Teatro, puro teatro,
ferita
mia ferita”.
Sandro Lombardi
Per Giorgio Bertelli. Costellazioni
in
Giorgio Bertelli, Disegni e libri, 1979-2019
Brescia, Edizioni L’Obliquo, 2019
A ripercorrere la lunga parabola, peraltro tuttora vitalmente in atto, di Giorgio Bertelli editore e pittore, salta all’occhio la presenza costante di una doppia bipolarità: quella tra secco e molle, ossificato e viscido, pietrificato e fluido; e quella tra eros e thanatos, dove il secondo termine del binomio appare dichiarato a prima vista mentre il primo si nasconde e ha bisogno di tempi lunghi per affiorare. Se ci si limita a uno sguardo di superficie, considerando che, tra 1986 e 2018, il Nostro è tornato per ben tre volte a illustrare i versetti di Qohélet, «il testo più disamorato e nichilista della tradizione biblica» (Massimo Raffaeli), si sarebbe portati a rilevare un’ossessione attorno al tema e alle figure del Nulla e della Morte. E così, in effetti, è. Ma il baleno che s’inarca tra il nulla originario e il nulla postumo che incorniciano l’esistenza di ogni creatura si chiama vita; e, per quanto probabilmente anch’essa «vita offesa dalla modernità» (Adorno), la vita, personale e artistica, di Giorgio Bertelli è colma di affetti, tensioni, passioni, gesti, dedizioni e lavoro che, anche se in ultima istanza risulteranno vani come tutto è vano sotto il sole, tuttavia, nei brandelli d’esistenza che ci toccano – dobbiamo considerarli un dono? o al contrario una punizione? –, aggregano senso, dispensano conforto, leniscono ferite, arricchiscono i cuori, nutrono le sfere del pensiero e del sentimento. Del resto, quanto più si è consapevoli di essere provvisoriamente scampati, nascendo, al Nulla cui torneremo, tanto più sappiamo che in quell’intervallo tra un Nulla e un Nulla sfolgorano «giardini di sogno / dove alberi dorati / fioriscono», scrive Qohélet. E proprio Qohélet, in una grandiosa contraddizione che sarà anche di Leopardi, ne addita la struggente bellezza, della vita, quel «vortice di vento», quello «strano soffio», quei «fantasmi / inganni» in cui luccica e traluce, pur nella vanità di ogni cosa e pur nella landa estrema del negativo, un bagliore che lo spinge, il disincantato autore biblico, a profferire un violento, sanguigno carpe diem («Prendi il piacere / afferralo // nei momenti felici / non porti domande // spoglia il tuo giovane / corpo e mostralo // verranno i giorni / in cui ti coprirai / vergognandoti / e chiederai: // perché fui bello».)
Sandro Lombardi
Frammento Veneziano
con due acqueforti di Giorgio Bertelli
Brescia, Edizioni L’Obliquo, 2021
La mia Venezia è incastonata, come una pietra dura, nel sogno di un sogno. È una realtà per me insondabile, precede la mia nascita, è il luogo del viaggio di nozze dei miei genitori. Se ne parlava poco in casa. Tutto era avvolto nel pudore. I sentimenti erano taciuti anche se non rimossi. Ma di Venezia si parlava. Se ne parlava come di un miraggio, una cosa non di questo mondo.
Luglio 1949. Calura, tende leggere di cotone, sciabordio d’acqua nei canali, improvvise folate di vento. Ogni mattina, aprendo le imposte di legno azzurro (così diverse dalle verdi persiane di Toscana), mio padre si affacciava con un’espressione indecifrabile alla finestra della stanza d’albergo – non lussuoso ma neanche troppo modesto – che i miei avevano scelto per quella che, forse, fu per loro la prima settimana di pace dal tempo della fine della guerra. Mia madre desiderava vedere Murano, Burano e il Lido: i vetri, i merletti, le spiagge. Mio padre annuiva. Il cielo era azzurro, il selciato umido, il mare blu, le pietre avorio e oro, ma io quelle immagini le vedo in bianco e nero, come le fotografie di allora, anche se quei pomeriggi, quelle passeggiate, quelle brezze di refrigerio, nessuna fotografia me li ha testimoniati.«Tanto difficile da immaginare, davvero / il Paradiso?», scrive Giovanni Raboni; e io sento che quel breve tempo in quella città orientale e bizantina, medievale e settecentesca, in quella festa per gli occhi e tutti i sensi, in quell’incanto azzurro e oro dove per chi è giovane le notti sembrano durare trecento ore (Patrizia Valduga) – quella manciata di giorni vividi e sereni (ancora Valduga) furono per mio padre e mia madre un anticipo di paradiso.
A tutti dovrebbe toccare un viaggio di nozze a Venezia.
Sandro Lombardi
Per Taviani: ricordi e testimonianze
Ferdinando Taviani, maestro di vita e atleta del cuore
in
Festa per Nando – Teatro e Storia n. 42
Roma, Bulzoni Editore, 2021
La morte di Nando – Ferdinando Taviani – non è solo un dolore per tutti coloro che gli sono stati amici. Crea un vuoto negli studi teatrali, a cui Taviani ha contribuito non solo con le sue ricerche e le sue riflessioni, ma con una influenza che sarà tanto più difficile da far comprendere, in futuro, perché rifuggiva da rigide metodologie. Il numero 42 è dedicato in gran parte al suo ricordo.